L’opera tratta da Shakespeare riletta tra ironia e trovate sceniche. Domani la prima, recite fino a mercoledì 27. Fate, elfi, innamorati in una favola sospesa tra fantasia e realtà.
Le colonne dirute di un tempio greco e la gloriosa Union Jack si stagliano sul palcoscenico. Bandiera britannica come tutta britannica è l’opera: firmata da Benjamin Britten – il più grande compositore inglese del XX secolo, illustre operista del secondo Novecento e uno degli autori più significativi della letteratura per voci bianche – e ispirata a uno dei capolavori di Shakespeare, il “Sogno di una notte di mezza estate” sospeso tra realtà e sogno, mito e presente.
Tempio e bandiera sulla scena di un Midsummer Night’s Dream che per la prima volta arriva a Palermo, al Teatro Massimo, più di mezzo secolo dopo la sua composizione, avvenuta fra l’ottobre del 1959 e il maggio dell’anno successivo. Prima rappresentazione al Festival di Aldeburgh l’11 giugno del 1960.
Domani, martedì 19 settembre alle 20.30 la prima dello spettacolo, nell’allestimento del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia dove è andato in scena l’anno scorso con la regia e le scene di Paul Curran, britannico anche lui. La regia è ripresa a Palermo da Allex Aguilera Cabrera, sul podio c’è Daniel Cohen, un giovane talento della bacchetta che debutta l’opera prima di dirigerla alla Israeli Opera di Tel Aviv. Costumi di Gabriella Ingram, luci di David Martin Jacques riprese da Salvatore Spataro, coreografia di Carmen Marcuccio, Orchestra e Coro di voci bianche del Teatro Massimo (maestro del Coro di voci bianche Salvatore Punturo).
Il “Sogno” di Britten arriva così a Palermo, capolavoro di fantasia musicale e letteraria che arriva dal sodalizio tra il compositore e il suo compagno Peter Pears, cantante nonché coautore del libretto. Uno spettacolo che riporta la musica di Britten sulle scene palermitane dopo oltre venti anni di assenza: l’ultima rappresentazione fu nel 1995 del Peter Grimes.
Nel bosco del “Sogno” di Shakespeare si intrecciano magicamente i diversi piani di realtà o di irrealtà, di personaggi e di linguaggi, fate, innamorati, artigiani-clowns e sovrani mitologici, in un gioco di inganni comandato da Oberon, re delle fate, e dal suo servo, il folletto Puck. Shakespeare, attraverso la recita degli artigiani/clowns, prende bonariamente in giro coloro che avevano reso possibile, nel Quattrocento, il risveglio del teatro europeo da un lunghissimo sonno: quelle confraternite e corporazioni artigianali che per prime realizzarono sacre rappresentazioni e misteri. Britten riprende e gioca con questo gioco del “teatro nel teatro”, condendolo di citazioni musicali e letterarie.
Solo apparentemente una pièce per bambini, il “Dream” è piuttosto un’opera aperta con tanti livelli di lettura per un pubblico adulto e sagace: se questo è già nel testo di Shakespeare, con la musica di Britten si ammanta poi di colori languidi e seducenti e ritmi da sberleffo.
In scena agiscono tre gruppi di personaggi: il quartetto degli amanti che hanno un ruolo centrale nell’azione (Lysander, tenore; Demetrius, baritono; Hermia, innamorata di Lysander, mezzosoprano; Helena, innamorata di Demetrius, soprano); un sestetto di artigiani, che si richiamano alla tradizione dell’opera buffa e a cui si accostano i personaggi di Teseo duca d’Atene (basso) e di Ippolita regina delle Amazzoni (contralto).
E poi ci sono i personaggi sovrannaturali, elfi e fate. Per i ruoli di Oberon, re degli elfi e di Tytania, regina delle fate – come racconta Dario Oliveri nel programma di sala – “il compositore ha scelto due ‘tinte’ vocali, controtenore e soprano di coloratura, che provengono dalla tradizione del teatro barocco: in particolare, la parte del re delle fate fu letteralmente modellata da Britten sulle caratteristiche della voce del controtenore Alfred Deller, figura chiave del rilancio di questo profilo vocale – oggi famigliare anche al grande pubblico – nel corso del decennio precedente alla creazione del Midsummer. Infine, il personaggio di Puck non canta ma si limita a parlare e fare acrobazie, volteggiando sulle cadenze della tromba e i rintocchi delle percussioni”.
Al coro di voci bianche (compresi quattro solisti) è affidato un ruolo fondamentale – una delle parti più importanti di tutto il repertorio operistico che le contempla – le fate e gli elfi al servizio di Titania. In scena anche bambini danzatori. Un ruolo che rispecchia l’attenzione di Britten per l’educazione alla musica dei bambini. Moltissime sue opere sono dedicate ai più piccoli.
Quasi tutta l’azione si svolge in un bosco vicino ad Atene. Il cast è di specialisti del repertorio, che richiede bravissimi attori/cantanti, in gran parte provenienti dal cast di Valencia, a partire da Puck, che è attore, danzatore, acrobata: il giovane maltese Chris Agius Darmanin. Oberon è Lawrence Zazzo, un controtenore tra i più famosi al mondo, Oberon per antonomasia e apprezzatissimo anche in repertorio barocco. Tutti gli artisti fanno parte di un ingranaggio meticoloso. Sono quasi tutti madrelingua, a partire da Zachary Altman (Bottom), l’unica italiana è Gabriella Sborgi (nel ruolo di Hermia), anche lei con una lunga consuetudine nel repertorio britteniano.
Lo spettacolo è semplice ma di grandissima suggestione, molto “british” e ironico.
La rovina del tempio, un assemblaggio circolare di colonne sgretolate, si adatta alle esigenze drammatiche. Un punto focale per gli artigiani che sono vestiti come meccanici con giacche luccicanti, cappelli duri e uniformi da guardiano. Anche Oberon indossa una tuta androgina verde metallica, un richiamo alla cultura punk e psichedelica.
L’uso delle luci, attraverso una semplice proiezione di sfondo, consente di spostare l’atmosfera e il tempo dell’azione.