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Falcone, Borsellino e i depistaggi: al Teatro Massimo l’opera “Parole rubate”. In scena il computer del giudice ucciso a Capaci e la borsa dell’eroe di via D’Amelio. Scritto dai giornalisti Gery Palazzotto e Salvo Palazzolo, spettacolo il 23 maggio. Regia di Giorgio Barberio Corsetti, musiche di Marco Betta, in scena Ennio Fantastichini.
Due oggetti in scena, simbolo dei più grandi misteri delle stragi del 1992: il computer di Giovanni Falcone, forse violato per trafugare i file più scottanti; la borsa vuota di Paolo Borsellino, priva dell’agenda rossa su cui il magistrato custodiva gli appunti più riservati.
Saranno questi due oggetti, concessi l’uno dal museo del Tribunale di Palermo e l’altra dalla procura di Caltanissetta, a segnare il percorso di “Parole rubate”, l’opera che andrà in scena al Teatro Massimo di Palermo il prossimo martedì 23 maggio, per i venticinque anni delle stragi. Un’opera d’inchiesta, civile, scritta dai giornalisti Gery Palazzotto e Salvo Palazzolo, interpretata da Ennio Fantastichini, con la regia di Giorgio Barberio Corsetti, le musiche di Marco Betta, l’Orchestra del Teatro Massimo diretta da Yoichi Sugiyama. Prova generale aperta alle 11.30, spettacolo alle 20.
Sarà lui, Fantastichini, a interpretare il cercatore delle parole rubate, quelle parole di verità – sottratte da depistaggi, falsi testimoni, intrecci tra poteri – che avrebbero fatto luce sulle stragi e, con quelle, sulla storia d’Italia.
“Crediamo profondamente – dice il sovrintendente Francesco Giambrone – che un teatro abbia un ruolo civile e sociale, che un teatro debba essere il luogo di riferimento di una comunità. E le stragi del 1992 sono state il trauma collettivo più forte della nostra comunità, quelle che hanno segnato lo spartiacque tra un prima e un dopo. Da qui nasce l’idea di un’opera che, a modo nostro, con la musica, ripercorra quei giorni di un’estate che nessuno di noi potrà dimenticare. Raccontando quel che sappiamo, e anche con quello che non sappiamo ancora”.
Già. I fatti sono noti. Sabato 23 maggio 1992, alle 22, quattro ore dopo la strage di Capaci, due magistrati e un ufficiale dei carabinieri entrano nell’ufficio di Giovanni Falcone al ministero della Giustizia, si guardano intorno: lasciano lì i computer, i documenti e gli appunti del magistrato appena assassinato. Entrano, guardano e se ne vanno. Cinquantasette giorni dopo, sabato 19 luglio, alle 16.57, Paolo Borsellino scende dalla sua auto blindata in via d’Amelio a Palermo. In una mano ha una sigaretta, nell’altra l’accendino con cui la accende. La borsa con la sua agenda rossa è in auto e lì rimarrà sin quando, due minuti dopo, Cosa Nostra farà esplodere una Fiat 126 imbottita con novanta chili di tritolo. Poi quell’agenda rossa sparirà, diventata simbolo di tutti i misteri italiani.
Lo spettacolo parte dal primo episodio e arriva all’altro, uno schermo in scena a raccontare i momenti più salienti della storia, Fantastichini a interpretare il monologo di un uomo che incastra i tasselli di un puzzle rimasto incompiuto per un quarto di secolo.
“C’è uno stile, un metodo del delitto a Palermo – dice Gery Palazzotto – c’è sempre una persona ben vestita che arriva, si presenta e cambia il corso delle cose. Non è qualcosa che nasce con Falcone e Borsellino, ma che con loro tocca l’apice”. Aggiunge Salvo Palazzolo: “Non furono i mafiosi a trafugare quelle parole, questo è ormai certo dopo anni di processi e sentenze. Gli stragisti erano già lontani, mentre qualcuno, con lucida determinazione, entrava in azione”.